Il fallo da rigore, quantomeno dubbio, rivela anche una circostanza che impone una riflessione sul francese
Mancavano poco più di cinque minuti alla fine di Cosenza-Reggina. Jeremy Menez era vistosamente irretito dal fatto che l’arbitro non gli avesse chiamato un paio di falli su contatti al limite.
Sembrava uno di quei momenti che, di fatto, segna la differenza tra la fase in cui è in partita e quella in cui torna la sua nota indolenza.
Impressione sbagliata. Ad un certo punto a Jeremy si accende una lampadina. Come se, di colpo, la sua silenziosa polemica con l’arbitro sia passata in secondo piano rispetto alla sua missione: aiutare la Reggina.
Corsa di quaranta metri con energie insospettabili visto che, da qualche minuto, pareva in debito d’ossigeno e fuga verso la difesa. Ad aiutare la retroguardia. Il destino ha voluto quel contrasto stato rigore, ma Menez quasi al 90′ era a ripiegare in difesa. Una cosa che, a dire il vero, non la si è vista fare nemmeno ai bei tempi.
Una circostanza che, tra l’altro, si era già verificata a Frosinone. A tempo scaduto difendeva a ridosso della propria area di rigore. Segnali che forse raccontano che attorno al giocatore è giusto instaurare un clima di fiducia.
Delle giocate, del rigore segnato, è perfino inutile parlare. Quelle si danno per scontate.
Infatti, quandu a finimu è troppu tardu. Menez non si discute.
Grande Menez, facci 2 gol domenica, tutto il resto è noia
mandatelo in Messico