Agli amaranto non sembra andarne bene una, i limiti non mancano, ma serve reagire

Quattro sconfitte consecutive fanno male.  Lo farebbero comunque, ma lo fanno di più se ci si ricorda che questo campionato si era aperto con grandi ambizioni.  Quelle che, per intendersi, erano già state messe in archivio con l’inopinata sconfitta casalinga contro il Pisa.  O forse anche prima, ma i vertici societari avevano messo il sigillo sul dato di fatto emerso dall’ineluttabile sentenza data dal campo.

Qualora il messaggio non fosse arrivato chiaro dalla gara contro i nerazzurri, da Monza ne è arrivato un altro.  Smettere di guardare in alto è ormai un imperativo chiaro.  Questo è il momento in cui bisogna solo guardare al prossimo passo, senza voltarsi indietro o allungare lo sguardo troppo oltre il proprio naso.

Si, perché altrimenti si rischia quasi di abbandonarsi al fatalismo. Quello che può diventare una zavorra nel momento in cui si accorge come, attualmente, tutto quello che può andare male lo fa.  Una sorta di applicazione della legge di Murphy nella dimensione amaranto.

La Reggina è piena di infortunati, non approfitta mai degli episodi favorevoli e gli altri non sbagliano quasi nulla.

Poi ci sono i problemi: la costruzione rivelatasi non ottimale della squadra, una proposta di gioco che porta quasi mai a tirare in porta e una fase offensiva dove l’unico risolutivo è Menez.  Uno che, probabilmente, mancherà anche per le prossime due o tre partite.

Essere ottimisti, al momento, è difficile.  Ma è un obbligo. C’è un campionato da giocare e qualche anno fa la Reggina avrebbe firmato per essere anche in una situazione difficile come questa.