Il tecnico, nel corso della sua carriera, non ha mai palesato integralismo.
Se si esclude Franco Colomba nella seconda parte della stagione 2001-2002 (quella della seconda promozione in Serie A) quando mise Jiranek dietro Vicari, la Reggina ha una storia di successi costruita soprattutto sulla difesa a tre. O a cinque, non cambia nulla nei concetti.
Che si tratti dello stesso Colomba in Serie A, di Walter Mazzarri negli anni d’oro e finanche dell’ultima promozione in Serie B targata Mimmo Toscano c’è unico comune denominatore negli anni migliori della Reggina: la difesa a tre. Non è un caso che, ad un certo punto, Lillo Foti cercasse solo tecnici che giocassero con i tre marcatori e tutto il settore giovanile al Sant’Agata si schierasse, con ogni sua formazione,con lo stesso atteggiamento tattico. Una cosa che, seppur con moduli più spregiudicati e spettacolari, si vede nella cantera del Barcellona o nel vivaio dell’Ajax.
La storia recente della Reggina ha fatto passare brutti a quarti d’ora a tutti quegli allenatori che hanno provato a portare il loro credo calcistico in riva allo Stretto diverso dalla tradizione. Tra loro tecnici del calibro di Walter Alfredo Novellino che nel 4-4-2 aveva un marchio di fabbrica per i suoi successi, così come Bepi Pillon (sempre 4-4-2) e Massimo Ficcadenti (4-3-3).
Per tutti è quasi sempre finita male. Marco Baroni, numeri della sua storia alla mano, non è affatto un integralista. Ha spesso cambiato modulo in base alla necessità e ha fatto capire che sta pensando di farlo anche per la Reggina.
Giocare a quattro potrebbe essere una delle soluzioni che ha in mente e, ad onor del vero, è una pratica che sembra molto diffusa in questa Serie B. Gli allenatori prediligono creare superiorità numerica sulle fasce, magari mettendo più uomini sulla trequarti e trovandoseli in area quando è il momento di andare ad aggredire la porta.
La fortuna è che questa Reggina, almeno nelle caratteristiche degli uomini, sembra avere armi per cambiare sistema di gioco.
A Baroni potrebbe, però, toccare l’incombenza di provare ad interrompere quella che è una sorta di maledizione di quanti giocano a quattro. In fondo le tradizioni negative sono fatte per essere interrotte.