Esposizioni rischiose al Covid. Quello del mondo del calcio è un protocollo sanitario tutto da rivedere
Siamo proprio sicuri che vada tutto bene così? Siamo davvero certi che la salute collettiva sia messa al primo posto? Convinti che nessuno sia esposto a rischi inutili?
No, non è affatto così. Che il Covid faccia paura o meno, che lo si ritenga, a torto o a ragione, una semplice influenza c’è chi purtroppo ne è rimasto vittima. E allora non si può fingere che il mondo del calcio ne sia immune o che sia protetto da un protocollo inattaccabile.
Tutt’altro. Il protocollo che governa il mondo del pallone in tempo di Coronavirus fa acqua da tutte le parti e quanto successo in occasione di Reggina–Cittadella ne è la chiara dimostrazione.
Arrivato a Reggio dopo giorni di tamponi a ripetizione e con già 6 positività al Covid accertate, il Cittadella, sabato mattina, ha dovuto fare i conti con nuovi test e nuovi casi. Altri 3 giocatori risultano positivi e vengono messi in isolamento, dopo aver però viaggiato, mangiato e condiviso l’intera trasferta con i compagni risultati invece negativi.
Mesi di esposizione ad informazione mediatica sul virus ci hanno ormai insegnato che lo stesso non si manifesta subito ma può avere anche settimane di incubazione. E quindi che si fa? Si mette l’intera squadra del Cittadella in isolamento per evitare ulteriori contagi? Macché! Si decide di far comunque giocare la gara con la Reggina, seppur con 7 ore e mezzo di ritardo rispetto all’orario previsto, esponendo irrimediabilmente al contagio anche tutto lo staff amaranto.
I precedenti già ci sono. Vibonese-Viterbese è l’esempio a noi più vicino e in termini di contagi la società del presidente Caffo (con il patron in prima persona) ne ha ampiamente pagato le spese.
Succederà lo stesso agli amaranto? Non possiamo dirlo con certezza. Ciò che è certo è che i giocatori scesi in campo, lo staff in panchina e quanti vi girano attorno sono stati esposti al virus. “Sono giovani atletici e in condizioni fisiche perfette” dirà qualcuno. Vero, loro sì. Ma le loro famiglie? Le loro mogli? I loro figli? I loro genitori? Anche loro indirettamente saranno esposti al virus.
Davvero giocare questa partita era quindi l’unica soluzione possibile?